10 luglio 1941

P.M.29/P 10.7.41 XIX

Carissimi,

Ho ricevuto questa mattina la vostra lettera dell’1.7.41. E’ sempre una gioia sapermi ricordato da voi miei cari. L’unica posta che ricevo è vostra, eccetto qualche rara altra, da amici. Quindi, sono le vostre le uniche che mi portino pace, e d’altra parte lo sono sempre state. Papà mi chiede se da Tripoli ricevo: Da due mesi niente! E non è colpa mia. Sono però tanto furbo e ci tengo a non essere fesso, per cui agisco in conformità. Ho ricevuto le tre fotografie della base, e quella di Perino1, come già data conferma in mie precedenti.

Ora passo alle “monete”. Intendo con questo nome i vaglia che ho fatto, avendo i soldi un po’ alla volta dalla fureria. Non sono monete? Se avessi dovuto farne uno sarebbe stato un foglio. Che termini usiamo qui! Dunque l’altro ieri ne ho inviato uno di 460 (quattrocentosessanta) e oggi uno di 210 (duecentodieci) lire. Il giorno 15 prendendo la decade ne manderò uno ancora di 140 circa. Vi prego di darmene conferma.

Tutta questa abbondanza è data dal fatto che io non mi decidevo (per avere più soldi) a spedire la mia pecunia; la dracma ha raddoppiato il valore rispetto alla lira, e mi sono trovato in mano tutta questa grazia di Dio. E poi dite che non ho fiuto! Sono fatto per il giuoco in borsa!

E a questa mia lettera allego una fotografia fatta in zona di guerra sotto la tenda, quando da poco si era spento l’eco e il rombo dei cannoni. Sono all’ufficio postale con il postino, uno dei miei più cari amici. Abbiamo appena finito di mangiare, e la mia gavetta riposa a terra al mio fianco.

E’ visibile il cartello “Ufficio postale” posto a mezz’aria fra noi, e si vede che non siamo vestiti come gli innumeri gagà di via Roma a Torino a causa del fango e delle fatiche. Il mio amico stà leggendo una letterina… e

1 Amico di Dino

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