25 luglio 1945

ATTENZIONE: questa lettera non è originale ma è stata scritta sulla base dei documenti e delle testimonianze di Dino.

Alpignano, 25 luglio 1945 san Giacomo

Ieri uscendo dal distretto ho visto passare uno di quelli che al lager avevano disonorato il giuramento di fedeltà al Re, perché aveva firmato l’adesione all’esercito repubblichino. L’ho chiamato ma non si è fermato. Ho poi saputo che dopo alcuni mesi di addestramento in Germania è rientrato in Italia, ha disertato, ha fatto qualche mese in montagna come partigiano e adesso è considerato un eroe. Proprio lui che aveva lasciato i suoi camerati a morire di fame, malattie e stenti! Sono arrabbiato.

Anche perché questa mattina all’alba sono tornato alla stazione ferroviaria di Porta Nuova e, tra la gente che la affollava, ho trovato un altro tipo che frequentava la stessa scuola per geometri che frequentavo io. Me lo ricordo bene, era un buono a nulla, uno scansafatiche. Ora invece indossa abiti da gagà, ha un orologio d’oro al polso. Mi ha raccontato di come durante la guerra ha fatto fortuna con i commerci, con amici e con nemici. Io gli racconto in breve la mia storia. “Poveretto” dice, ma i suoi occhi dicono “povero fesso”. Forse ha ragione lui, le cose non sono andate per niente come ci avevano promesso e come avevamo immaginato e sperato.

Io, come tutti quelli che stanno tornando solo adesso dalla prigionia, sono sporco e lacero. Pesavo 70 chili e ora arrivo a malapena a 42. Le persone che incrocio mi guardano con fastidio, se non con disprezzo. Molti di loro hanno sofferto per le privazioni della guerra, per i bombardamenti, per la guerra civile, ma nessuno di loro può lontanamente immaginare da quale inferno sto ritornando. Non mi importa, né del resto importa a loro. L’unica cosa che conta è tornare al più presto a casa, riabbracciare i miei cari e sincerarmi che stiano bene.

Non ci sono treni, la linea è interrotta, per cui ripiego sul “trenino” che porta a Rivoli, per poi incamminarmi a piedi verso Alpignano, verso casa.

Sul “trenino” trovo Borgialli, un mio caro amico che abita a Torino in piazza Benefica ma lavora alla Philips di Alpignano. Oggi però non andrà in fabbrica perché è San Giacomo, patrono di Alpignano, e sta andando a trovare la sua fidanzata. Come mi riconosce mi abbraccia e mi fa mille feste. Dice che ormai quasi nessuno ad Alpignano sperava più nel mio ritorno. Il mio caro papà, mi spiega, è diventato taciturno e ombroso. Povero il mio dolce papalino.

Arriviamo a Rivoli e poi, in un attimo, a piedi fino ad Alpignano. Il mio amico, vedendo in che stato sono ridotto, si offre di portare ai miei genitori la notizia del mio ritorno, in modo da evitare loro lo spavento nel vedermi arrivare così male in arnese.

Così, anziché andare verso la casa della sua fidanzata, svolta in via Principe Umberto (diventata nel frattempo via Marconi) e arriva fino al numero 28 (diventato 34). Suona il campanello e da lontano, senza farmi notare, vedo mio padre che gli apre il cancello. Senza tanti giri di parole sento Borgialli pronunciare ad alta voce: “Signor Ferrero, Dino è tornato, Dino è tornato!” Inaspettatamente per tutta risposta riceve da mio padre una sberla e un perentorio ammonimento “Non permetterti mai più di scherzare su queste cose”.

Ma signor Ferrero, Dino è tornato davvero!” ripete massaggiandosi la guancia.

Non è stata una buona idea. A quel punto mi avvicino in tutta fretta verso casa, dove il mio caro papà prima stenta a riconoscermi e poi non riesce a trattenere le lacrime. Quanto deve aver sofferto. Sono quattro anni che non ci vediamo e io so di essere irriconoscibile. Arrivano anche mia madre e le mie amate sorelline, ormai diventate grandi. La notizia si sparge in fretta tra amici e conoscenti, mentre i miei familiari mi fanno spogliare in giardino e accendono un falò con quel che era rimasto dei miei vestiti cenciosi. Poi mi lavo e mi rado rendendomi un po’ più presentabile.

Finalmente a casa. Finalmente è finita la guerra, è finito l’incubo. Ora sono tra i miei cari che non riescono a credere ai loro occhi. Sembra impossibile, di nuovo a casa! Di nuovo il mio letto e la cucina con la radio acquistata in mia assenza. E poi gli amici e le amiche che vengono a trovarmi, anche loro increduli.

Ripensando ai tanti poveretti che sono morti in questi anni o perché colpiti dalle armi nemiche o perché uccisi nei lager, forse sono solo stato tanto fortunato. O Forse mi ha aiutato la corporatura robusta e lo spirito di sopravvivenza. Chi lo sa.

Ora so solo che non vedo l’ora di tornare a quella vita borghese che ho a lungo desiderato e che il dovere verso la Patria mi ha costretto a lasciare. Per noi italiani e per i tedeschi il sogno di grandezza è naufragato miseramente. L’unica speranza è di tornare presto a rivivere una vita normale dove ognuno possa riprendere la sua occupazione. Cari mamma e papà, ci avevano promesso sogni di gloria e invece ci hanno consegnato sofferenze e morte. Ma non sono riusciti a separarci per sempre e gli abbracci di oggi sono la ricompensa per tutte le sofferenze che ho dovuto subire e che voi non comprenderete mai.

E’ fine luglio, quindi è piena estate, ma sento sempre un gran freddo, come quando prima dell’alba ci svegliavano brutalmente e ci obbligavano a star fermi per ore a fare l’appello col freddo, la pioggia, la neve. Come descrivere tutte queste cose tristi? I prigionieri morti di freddo, di tifo, impiccati o fucilati, per le percosse dei kapò e delle SS. Nessuno crederà mai ai nostri racconti perché nessuno potrà credere che l’animo umano possa raggiungere abissi così bui e profondi.

Dino

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