20 giugno 1944

ATTENZIONE: questa lettera non è originale ma è stata scritta sulla base dei documenti e delle testimonianze di Dino.

Arbeitsskommando Polte-Magdeburg, 20 giugno 1944

Carissimi,
da pochi giorni sono stato trasferito in un nuovo sottocampo che si trova in Poltestrasse n. 911, nel bel mezzo delle aree residenziali e lavorative del quartiere Wilhelmstadt di Magdeburgo. La strada prende il nome dalla fabbrica di munizioni Polte in cui anch’io lavoro, a cui sono collegati due sottocampi di prigionia, uno maschile e uno femminile. I campi sono recintati con filo spinato. Le baracche sono di legno. Le condizioni di vita delle donne sono peggiori rispetto a quelle degli uomini. La differenza forse dipende dal fatto che noi uomini siamo stati scelti per le nostre qualifiche e quindi considerati lavoratori preziosi, difficili da sostituire, mentre le donne sono viste come manodopera ausiliaria a buon mercato.

Un’ottantina di SS sono responsabili della custodia dei prigionieri all’interno del campo, mentre alcune guardie maschili, probabilmente soldati più anziani, si occupano della sicurezza esterna. Invece il campo femminile è sorvegliato da circa una quarantina di guardie donne. I comandanti di entrambi i campi sono molto severi, basta una piccola infrazione e fioccano le punizioni come gli appelli supplementari o la privazione del cibo o ancora il confinamento nei bunker, piccoli, freddi e senza finestre. Punizione particolarmente temuta dalle donne è quella che qui chiamano Prügelstrafe, ossia venticinque colpi di bastone.

I prigionieri e le prigioniere sono massimamente ebrei dell’Europa dell’Est, per lo più polacchi e magiari, ma anche lituani, mandati qui dai campi di concentramento. Alcuni ungheresi invece lavoravano qui vicino nel mobilificio Steinhoff. Oltre a me ci sono una decina tra italiani e francesi. Cosa inattesa, noi e i francesi godiamo di una maggior libertà rispetto agli ebrei, i quali sono sempre obbligati a indossare gli abiti a righe da prigioniero e gli zoccoli di legno.

Gli altri prigionieri mi hanno spiegato che la Polte fino alla prima guerra mondiale produceva utensili in alluminio, ma poi ha iniziato a produrre armi. Qui a Magdeburgo si fabbricano diversi tipi di munizioni che vengono sparati dai fucili e dai cannoni, come ad esempio i proiettili da 30mm e 40 mm riempiti con il nitropenta, un esplosivo molto simile alla nitroglicerina.

Il giorno dopo l’arrivo al campo io e gli altri prigionieri siamo stati intervistati per sapere quali fossero le nostre specializzazioni, per avviarci al reparto più consono. Ad ogni persona è stato assegnato un incarico da specialista: elettricista, riparatore, manutentore dei motori, addetto alle pulizie. Siccome io ho la patente di guida e parlo già un buon tedesco, sono stato incaricato del trasporto, con un carrello elettrico, delle casse di munizioni dal reparto produzione al magazzino o direttamente sui camion in partenza per il fronte. Carico e scarico di continuo perché lavoriamo dodici ore al giorno in turni alternati, in modo che la produzione non si fermi mai. Il turno giorno-notte cambia ogni settimana.

Ognuna delle due baracche di prigionieri, che contiene circa 250 uomini, copre un turno. Il turno di giorno inizia alle otto di mattina e finisce alle otto di sera. Il turno di notte copre le dodici ore successive e così via.

Ad ogni turno le SS ci accompagnano dal campo alla fabbrica che è proprio dall’altra parte della strada. E’ una gran fortuna perché così non siamo costretti a lunghe marce che, soprattutto d’inverno, sono terribili, specie dopo una giornata di lavoro di dodici ore e senza un’alimentazione sufficiente.

Anche le donne, che sono molte di più, circa tremila, arrivano dai campi di concentramento di Ravensbrück e Buchenwald. Anche loro sono in massima parte ebree.

La fabbrica ha quattro piani. Al pianterreno ci sono le officine con le macchine a cui lavorano i prigionieri. Al primo piano ci sono gli uffici. Al secondo si producono i bossoli e al terzo c’è un altro reparto produttivo dove lavorano i civili tedeschi e i prigionieri non possono entrare. Sì, perché alla Polte lavorano anche i tedeschi, per lo più negli uffici. Si può dire, da quel che vedo, che siamo più o meno lo stesso numero tra tedeschi e prigionieri. All’interno di ogni piano della fabbrica ci si può muovere liberamente, ma non da un piano all’altro.

In alcuni locali fa molto caldo per cui gli uomini lavorano a torso nudo con addosso solo lunghi grembiuli di gomma nera. Il lavoro in questi locali è difficile soprattutto per i prigionieri denutriti.

Ci facciamo coraggio e cerchiamo di resistere spinti dal fatto che si crede che la libertà non sia più così lontana. Del resto noi siamo qui perché tutti gli uomini tedeschi, giovani o vecchi che siano, sono stati inviati a combattere al fronte. Di conseguenza per coprire le perdite di personale nelle fabbriche non bastano più le donne tedesche e i prigionieri di guerra, così che i reclusi dei campi di concentramento (tra cui, e soprattutto, ebrei) sono diventati un’ambita merce per le fabbriche. Ma, soprattutto per loro, è dura. Se non si produce abbastanza, e quanto sia abbastanza lo decide il civile tedesco che ci sorveglia, si viene sottoposti ad ingiurie verbali e fisiche.

Dino

1Oggi Liebknechtstrasse

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