25 dicembre 1943

ATTENZIONE: questa lettera non è originale ma è stata scritta sulla base dei documenti e delle testimonianze di Dino.

Magdeburgo, Santo Natale 1943

Carissimi,

non so come, non so perché, ma sono ancora vivo. Il trattore sul cui rimorchio mi hanno caricato ieri sera ha viaggiato a lungo ed è arrivato prima dell’alba in un altro campo. Per tutta la notte ho avuto il mitra di una SS puntato contro la testa. Ho pensato di continuo “adesso mi fanno fuori, adesso mi fanno fuori”. E invece…

In questo campo ci sono molte più persone, non solo prigionieri di guerra e internati, ma anche molti civili.

A vederli, la prima sensazione è che qui la situazione non sia migliore, anche se sembrerebbe che le condizioni di vita siano più umane. Mi hanno dato anche una gamella di rape arancioni bollite, il mio pranzo di Natale!

Uomini e donne si muovono come spettri al buio nella nebbia del mattino, in attesa dell’appello. Alcuni prigionieri mi dicono che questo era un sottocampo del campo di sterminio di Ravensbruck, poi diventato un sottocampo di Buchenwald.

Da questo momento non sono nemmeno più un internato militare ma un prigioniero la cui identità è annullata, sono solo un numero. Più esattamente gefangenennummer 136693, ossia prigioniero numero 136693.

E’ pieno inverno, la temperatura è di diversi gradi sotto lo zero. Vedo che alcuni prigionieri vengono fatti uscire dalle baracche, vengono contati e selezionano quelli da eliminare perché ammalati o troppo deboli. Alcuni di loro mi raccontano sottovoce che i selezionati verranno uccisi, o come dicono loro eliminati, in quanto non più utili al lavoro e quindi un inutile peso.

Mi raccontano anche che a volte, durante gli appelli mattutini le SS sparano addosso ai prigionieri dei getti d’acqua. Con il freddo che fa c’è chi muore lì, nel piazzale: una statua, uno scheletro di ghiaccio.

Quando pensavo di aver già visto il peggio sono finito in un girone infernale forse ancora più crudele. Ma sono ancora vivo ed è come se fossi rinato una seconda volta. Forse non era ancora la mia ora. O forse mi hanno lasciato vivere perché posso essere ancora impiegato in qualche lavoro utile prima di morire, visto che ormai tutti gli uomini tedeschi, dai ragazzi agli anziani, sono stati inviati a combattere una guerra disperata sui vari fronti.

Vostro Dino

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