10 settembre 1943

ATTENZIONE: questa lettera non è originale ma è stata scritta sulla base dei documenti e delle testimonianze di Dino.

Tripolis li, 10 – 9 – 1943

Carissimi,

questa notte i tedeschi ci hanno fatto prigionieri. Temo che quei pantaloni nuovi, con il risvolto “da gagà”, per cui avevo inviato a casa le dracme dello stipendio e che pensavo di poter indossare per le passeggiate in via Roma a Torino, per un po’ di tempo dovranno aspettare.

Qui non si capisce più niente. Sembra che il governo Badoglio abbia concluso l’armistizio senza dare disposizioni ai comendi dislocati sui vari fronti… oltretutto noi eravamo in una zona in cui detenevamo il potere, avremmo potuto benissimo resistere all’esercito tedesco, ma i nostri superiori, o almeno quelli rimasti perché molti sono spariti, ci hanno ordinato di deporre le armi e noi abbiamo ubbidito.

I tedeschi ci hanno detto di stare tranquilli e che deponendo le armi nessuno ci avrebbe fatto del male e che ci avrebbero fatti ritornare in Italia.

Oggi, all’alba, dopo aver abbandonato le armi, siamo stati trasferiti e radunati in un campo da football fuori città, dove sul muro di cinta avevano messo delle mitragliatrici puntate verso di noi. Noi dicevamo che non avevamo fatto nulla di male, anzi avevamo accettato le loro richieste. E poi gli interpreti continuavano a dire di stare calmi.

Da lontano, da sopra una collinetta, i nostri amici greci ci guardavano impotenti, qualcuno piangeva, altri cercavano, con grande sprezzo del pericolo, di farci arrivare del cibo e dell’acqua che i nostri carcerieri ci avevano negato. Durante il tragitto, addirittura, alcune donne ci avevano invitato a scappare dalla colonna, parlandoci in greco per non farsi capire dai tedeschi e offrendoci un nascondiglio. Ma come fare? Troppo alto era il rischio di farsi sparare nella schiena.

Dopo alcune ore passate sotto il sole i nazisti hanno presto gettato la maschera. Una volta che eravamo tutti lì arrivò un Maggiore accompagnato da un soldato altoatesino che fungeva da interprete. Diede lettura di un lungo dispaccio di quasi un’ora, in cui si diceva che noi italiani in 30 anni avevamo tradito due volte la Germania. Molti di noi a un certo punto pensarono: adesso ci fucilano tutti quanti. Invece ci dichiarò prigionieri, disse alcuni frasi secche e aspre che l’interprete non tradusse, e insieme se ne andarono con un’aria da primi della classe che hanno svolto bene il loro compito.

Insomma, siamo stati messi davanti alla scelta di continuare a combattere nelle file dell’esercito tedesco o, in caso contrario, essere fatti prigionieri e inviati in Germania.

Solo in pochi hanno accettato di continuare la guerra a fianco dei tedeschi, tra la disapprovazione generale. Sarà perché avevamo davvero creduto che la guerra fosse finita. Sarà perché in fondo speravamo che la proposta di farci tornare a casa fosse sincera. Sarà perché abbiamo giurato fedeltà al Re. Sarà quel che sarà, ma quasi tutti abbiamo rifiutato l’offerta di quelli che si sono rivelati per quel che sono, degli infingardi e dei traditori. E invece sono loro che, dopo il nostro rifiuto, hanno avuto l’ardire di apostrofarci come traditori, badogliani e anche peggio.

Chissà se in altri posti i nostri camerati si sono ribellati senza deporre le armi. Si dice che così sia stato da qualche parte e che forse stiano resistendo. I tedeschi invece ci hanno detto che chi non aveva deposto immediatamente le armi ed era caduto prigioniero combattendo, era stato fucilato sul posto.

Sta calando la notte. Dormiremo su questo campo senza sapere quale sarà il nostro destino. C’è chi invoca la protezione della Madonna con le preghiere e c’è chi bestemmia contro i tedeschi e i fascisti. Sarà difficile dormire, ma io sto bene e non è certo una notte all’addiaccio a spaventarmi.

State certi che la fortuna che mi ha sempre aiutato non mi abbandonerà sicuramente adesso.

Non preoccupatevi per me e state sempre di buon umore perché vedrete che presto tutto finirà.

Vostro Dino

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